14 maggio 2017

Heidegger, Schmitt, Jünger, Nolte… tutti accomunati in uno stesso ostracismo, secondo Faye e altri. - Intervista di Giovanni Sessa a Francesco Alfieri sul “vero” Heidegger, ancorato alle sue “fonti”.

Heideggeriana, 1 -
Bottom. | v. 1.0/14.5.17
Edito in Roma, nel 2012
Il libro di Emmanuel Faye è abbastanza esplicito e diffuso nel tracciare i rapporti fra Martin Heidegger e Carl Schmitt, i cui rapporti non ebbero certo la consistenza, la durata, la continuità di quelli, ad es., fra Carl Schmitt e Ernst Jünger. I documenti su Heidegger e Schmitt sono rarissimi e direi poco significativi, ma Faye ci costruisce sopra e si spinge addirittura ad una condanna comune e collettiva all’insegna del “negazionismo”, dove accomunati tanti nomi, incluso quello di Faurisson, quasi facessero tutti parte di uno stesso circolo o si incontrassero in birreria la sera. Nel libro di Faye, che appartiene a un genere letterario-filosofico, si trovano affermazioni incredibili, e risibili, fra le quali ne estraiamo solo qualcuna:
«La gravità del pericolo che rappresenta oggi la diffusione dell'opera di Heidegger è visibile dagli sviluppi che ha nei discepoli a lui più vicini, i quali sono andati uno dopo l'altro alla deriva di un revisionismo più radicale, quando non sono sprofondati nel negazionismo» (pag. 435).
 Per quanto mi riguarda, essendo io stato una vittima del clima culturale che è ad arte è stato creato dal 1945 ad oggi, ho dichiarato più volte, incominciando da una serie di lettere alla Stampa, che il termine “negazionismo” non ha nessuna valenza scientifica, ma nasce soltanto da esigenze di politica diffamatoria, discriminatoria, denigratoria, intimidatoria. Quanto ai discepoli di Heidegger, se - fra questi - ci si intende riferire a Ernst Nolte, ricordo di aver pubblicato io in italiano, con un prefazione di Nolte, la sua intervista integrale del 1994, dove si metteva in guardia dai pericoli alla libertà di pensiero e di ricerca conseguente all'introduzione del reato sulla Auschwitz-lüge. Secondo una mia stima, che attende e sollecita e desidera una sua smentita, sono ormai oltre 200 mila i casi nella sola Germania di procedimenti penali per meri reati di opinione. Io stesso, ricercatore nella più grande università d'Europa, ero stato scelto e designato come vittima sacrificale per l'introduzione di un'analoga legge anche in Italia, cosa che con un certo italico pasticcio è infine andata in porto.
Donatella Di Cesare

Con la Di Cesare, sostenitrice altamente liberale e filosofica di una siffatta legge, pur ammettendo lei stessa di non saperne e capirne nulla delle delicate e tragiche questioni storiografiche portate avanti dagli agguerriti storici "negazionisti”, ho avuto scontri pubblici, seguite da mie proteste presso il comune Rettore, che però aveva negato di conoscerla. Infatti, ero stato assolto da un procedimento disciplinare dove rischiavo di brutto, ma nonostante l'assoluzione e l'acclarata mia innocenza, la Tizia - formalmente mia Collega nella stessa Università - continuava ad alimentare la “leggenda” del mio presunto "negazionismo”, attaccandomi pubblicamente, perfino nel primo canale della RAI, dove invano sono andato a protestare. L'unica accortezza che le hanno consigliato, per evitare una querela, è di non fare il mio nome, che però è perfettamente identificabile essendo stato il solo caso della Sapienza, portato al Collegio di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale: il classico segreto di Pulcinella: oltre che profonda filosofa, discepola di Heidegger e Gadamera, una raffinata giurista. Capita di incontrasi, ma sempre guardandosi in cagnesco. Tutti particolari inediti e divertenti che forse meriterebbero di essere raccontati, ed in parti lo sono stati in "Civium Libertas”, al cui ampio archivio rinvio: ci si può ridere sopra, con la differenza che non è uno spettacolo di Crozza, ma è la verità che fa ridere di più di quanto possa un comico di professione, incluso Beppe Grillo, che è voluto entrare in questa storia con affermazioni che mi hanno costretto a querelarlo. Anche la De Cesare ha fatto un suo convegno, al quale ho partecipato un giorno senza però essere riuscito a intervenire. Del resto, non mi dichiaro e professo uno studioso di Heidegger, come la stessa De Cesare non può affermare di essere una studiosa di Schmitt, anche se si lascia andare ad esternazioni. La cosa più divertente, da riderci sopra a non finire, è che la De Cesare è una sionista sfegatata, ma ha ben pensato di costruire la sua carriera accademica lavorando su Heidegger e divenendo addirittura vice-presidente della omonima Gesellschaft, cosa che non gli perdonano gli sfegatati e incolti sionisti di una testata filogovernativa israeliana, che ha il compito di sorvegliare il web italiano. Nella loro abituale e costitutiva grossolanità non vanno per il sottile. Gli attacchi, invero volgari, alla De Cesare sono continui, e non saremo certo noi a prendere le sue difese: ben le sta!

In effetti, questa operazione politico-culturale già si affacciava nel tentativo di incriminare Schmitt durante la detenzione di Berlino e Norimberga. Il disegno era chiaro: una condanna a prescindere di tutto l’ambiente culturale precedente il 1945 e che non era emigrata negli USA, da dove poi ritorna al seguito degli invasori, sposandone in pieno la cultura, i valori, gli obiettivi politici. La formula la si è poi trovata con il “negazionismo della Shoah”, che adesso riaffiora perfino nel dibattito filosofico, o presunto tale:
«…Una forma particolarmente grave di negazionismo, che ha apertamente negato la specificità della Shoah – della Soluzione finale – e ha teso a discolpare il nazionalsocialismo dalla sua radicale responsabilità nell'annientamento del popolo erbaico e nella distruzione dell'essere umano, a cui l'industria del nazismo si era votata» (Emmanuel Faye, Heidegger. L'introduzione del nazismo nella filosofia, trad. it., Roma, L’Asino d’Oro, 2012, p. 381).
Di “industria” a noi salta in mente non solo quella cinematografica, ma anche quella accademica di cui libri come quello di Emmanuel Faye appare un prodotto. Se è vero ciò che il valente giornalista John Pilger ebbe a dire in Londra in un Forum sull'informazione, e cioè che l'informazione è un “emanazione del potere”, questo lo si può dire a maggior ragione per le Università, la cui presunta libertà è sempre stata quanto mai dubbia. A guerra persa, con un continente distrutto in lungo e largo,  non solo si è inteso rifare la geografia politica dell’Europa, ma si vuole andare nel profondo, nella psiche, nella formazione culturale e spirituale di quanti si trovano a vivere dopo il 1945 e vengono costretto a rinnegare tutte le radici che risultano incompatibili con il nuovo corso, con le direttive dei nuovi padroni, che trovano i loro più fedeli servi nella classe politica e nel nuovo ceto intellettuale-accademico: i figli e i nipoti sono condannati a rinnegare i loro padri e i loro nonni! Ad infangarne la memoria ad ascrivere a crimini “assoluti” quelle che furono le loro legittime opzione politiche nelle dinamiche e dialettiche della loro epoca. Si arriva all'assurdo della “verità di Stato”, dichiarata tale per legge e imposta a ricercatori e accademici di professione, eretti a nuovi Inquisitori della “pubblica opinione”. Ovviamente, non pensiamo che questi nuovi algoritmi culturali siano fondati, non ci impressionano, ma è interessante seguirli nei tentativi e nelle costruzioni mentali dei Nuovi Inquisitori. Non interessa ciò che pretendono di farci credere, ma ciò che essi sono e ciò che vogliono, e soprattutto ciò che da noi vogliono. A questo scopo, pubblichiamo nei “Carl Schmitt Studien” l’Intervista dello scorso mese di Giovanni Sessa a Francesco Alfieri sulle “fonti” di Heidegger, ma anche in futuro allargheremo la nostra ricerca sulle vastissime connessioni con le quali si intreccia la ricerca schmittiana.

Günther Krauss
Concludo questa mia nota, dicendo che non tutto il male viene per nuocere. La chiara strumentalizzazione del pensiero di Heidegger, accomuntato ad altri in una stessa identica demonizzazione, rinnova in me un interesse verso un pensiero che non ho mai approfondito con un lavoro specialistico, riservato invece a Carl Schmitt. Spero adesso di essere accolto nella cerchia degli studiosi di Heidegger,  ovviamente non  intendo la Di Cesare, quanto meno per potermi occupare della relazione, consistente o meno, fra Carl Schmitt e Martin Heidegger, di cui fino ad oggi nella mia memoria risultava un comune studente: Günther Krauss, fedelissimo studente di Schmitt e mio compianto anziano amico, che da giovane aveva assistito a una sola lezione di Heidegger, del quale gli era rimasta impressa la voce cavernosa, ma niente di più. Agli atti non risulta altro, di quel pochissimo che già si sapeva, ma ora infuria la speculazione ideologica.

AC

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L’INTERVISTA DEL MESE
ALLE FONTI DI HEIDEGGER
 A colloquio con Francesco Alfieri
di Giovanni Sessa 

Martin Heidegger è pensatore cruciale del Novecento. Egli, come molti intellettuali dell’epoca, si confrontò con la dimensione magmatica che il “secolo breve” assunse sotto il profilo politico. Non poteva essere diversamente. Fin dal periodo giovanile, nella fase aurorale della costruzione del proprio filosofare, aveva colto la ‘priorità’ del momento pratico rispetto a quello teoretico. Tale intuizione lo costrinse a venire a ‘ferri corti’ con la propria epoca, a confrontarsi, quindi, con l’esperienza storico-politica del nazionalsocialismo. E così, a fronte dei numerosi riconoscimenti che gli sono stati concessi nel corso degli anni, periodicamente riemerge contro di lui l’accusa di essere stato ‘un compagno di strada’ dell’hitlerismo. Nel 1987, in questo senso, i primi strali polemici nei suoi confronti furono lanciati dallo studioso cileno Victor Farias, a cui risposero con persuasività argomentativa sia Fédier che Gadamer, allievi diretti del pensatore di Friburgo. È nell’ultimo periodo che il caso Heidegger è tornato prepotentemente agli onori della cronaca, soprattutto giornalistica, dopo la pubblicazione dei cosiddetti Quaderni neri. Titolo suggestivo e ‘politicamente corretto’ attribuito ai ‘Taccuini filosofici’ dal curatore tedesco, Peter Trawny. Questi ha dato alle stampe anche un volume intitolato Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, che muove da una lettura afilosofica del pensiero del tedesco, al fine di stigmatizzarne la sintonia politica con i fascismi e l’antisemitisimo. Per il curatore tedesco, tali elementi rappresenterebbero il momento esoterico alla base della storia dell’essere (antisemitismo ontico-storico). A tale posizione si è richiamata in Italia Donatella Di Cesare, autrice del volume Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri”, formulando l’ipotesi che «l’antisemitismo metafisico» di Heidegger rappresenti semplicemente l’apice novecentesco di un filone speculativo che da Kant muove fino a Nietzsche. I due libri hanno aperto una polemica incontenibile.

Alle accuse hanno risposto in termini di ricostruzione filologica dei testi heideggeriani e di contestualizzazione storica della sua filosofia, Friedrich Wilhelm von Herrmann e Francesco Alfieri. Il primo, docente emerito dell’Università di Friburgo, fu l’ultimo assistente privato del filosofo, da questi designato quale unico responsabile scientifico della pubblicazione della sua opera omnia. Il secondo, è docente di Fenomenologia della religione nella Pontificia Università Lateranense e nominato da von Hermann, nel 2016, suo assistente privato. Lo hanno fatto in un volume lungamente pensato, nelle librerie per Morcelliana editore, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri.

Il libro è impreziosito da un saggio chiarificatore di Leonardo Messinese, da lettere inedite del carteggio Heidegger von Herrmann, e da missive di Gadamer. Chiude il volume un’Appendice di Claudia Gualdana, che presenta l’esegesi dei numerosi contributi giornalistici usciti in tema. Sono, peraltro, in corso, le traduzioni del testo nelle principali lingue europee. Lo hanno annunciato con soddisfazione i traduttori designati del volume, durante il Convegno internazionale di studi tenutosi lo scorso 25 gennaio presso la Pontificia Università Lateranense (Città del Vaticano), Ritorno alle fonti di Martin Heidegger. Vie della Seinfrage. Il Convegno è stato evento di grande rilevanza culturale per l’Italia. A esso hanno preso parte in qualità di relatori i più affermati studiosi della filosofia di Heidegger. Tra gli altri, oltre a von Herrmann, Alfredo Marini, traduttore di Essere e tempo, François Fédier, Günther Neumann, Pascal David, Giampaolo Azzoni.

Arnulf Heidegger (immagine).
La giornata si è aperta con la lettura del ‘saluto’ inviato ai convegnisti da Arnulf Heidegger, nipote del filosofo, in cui si dice: «Dopo la pubblicazione delle Riflessioni e delle Annotazioni che a livello internazionale sono note come Quaderni neri, sono molto grato al prof. von Herrmann e al prof. Alfieri per aver reso possibile un nuovo approccio a queste annotazioni ‘di cantiere’ che erano state interpretate in modo piuttosto tendenzioso». Parole che evidenziano la condivisione della famiglia del filosofo per il lavoro dei due studiosi. In quella giornata, il pubblico ha testimoniato l’interesse crescente per la speculazione heideggeriana nel nostro paese, a novant’anni dalla pubblicazione di Essere e Tempo.

• Prof. Alfieri, può sinteticamente illustrare i risultati cui è giunto nel volume La verità sui Quaderni neri, che smentiscono la tesi della reductio ad hitlerum tentata nei confronti della filosofia di Heidegger?

 – Quando abbiamo messo mano, insieme al prof. von Hermmann, allo studio sistematico dei ‘Taccuini’ pubblicati in Germania un lavoro durato quasi due anni ci siamo resi conto che non è possibile cogliere il contenuto di questi testi se non facendo riferimento ai trattati di Martin Heidegger e quindi alle sue opere capitali. Molti, in questi anni di intenso lavoro, ci hanno posto la domanda se abbiamo riscontrato tracce di antisemitismo nei riferimenti testuali del filosofo. Naturalmente, se le avessimo trovate, le avremmo subito poste in evidenza, perché è nello stile della ricerca scientifica divulgare i risultati a cui si giunge, ma di insinuazioni di frasi antisemite o che rimandino, comunque, all’antisemitismo non vi è alcuna traccia nell’opera del pensatore tedesco. Nel nostro libro, servendoci dell’imprescindibile analisi filologica, abbiamo dimostrato, ponendoci in attento ascolto del movimento del pensiero heideggeriano, che non è possibile accostarsi ai cosiddetti ‘Quaderni neri’, fermandosi a una lettura squisitamente letterale degli stessi. Dunque, riteniamo definitivamente chiusa la controversia sul caso Heidegger e i ‘Taccuini’: in ultima istanza, il grande polverone che si è sollevato in questi anni scaturisce da una strumentalizzazione costruita ad hoc, che va oltre i ‘Taccuini’ stessi, semplice strumento giustificativo della strumentalizzazione.

• Può, allora, illustrarci le ragioni di tale strumentalizzazione costruita ad hoc?

Martin Heidegger (1889-1976)
– Si tratta certamente di vera e propria strumentalizzazione. Lo si evince con chiarezza dalle Nachwort (Conclusioni) scritte dal curatore tedesco dei ‘Taccuini’ nei volumi 94, 95, 96 e 97 della Gesamtausgabe (Opera omnia). In queste Nachwort, l’autore accosta in maniera magistrale, ma di per sé artificiosa, il linguaggio heideggeriano del pensiero storicoontologico, con alcune riflessioni relative agli eventi storici della Germania di quei tempi. Tale accostamento improprio ha fatto sì che si generasse nel lettore il dubbio che tutta la speculazione heideggeriana sia contaminata da antisemitismo. Nelle tesi del curatore tedesco dei ‘Quaderni neri’, il lettore non troverà mai giustificato il presunto antisemitismo storicoontologico e lo stesso curatore tedesco è cosciente che i testi non lo confermano affatto. Nonostante abbia piena coscienza di ciò, non lo ammette esplicitamente, ma anzi tende a insinuare nel lettore dubbi artificiosi sulla questione. Tale disonestà intellettuale è, purtroppo, di ostacolo a chi legge, in quanto impedisce di accedere alle fonti in modo libero e privo di pregiudizi.

• Quali sono state le reazioni della stampa italiana alla pubblicazione dei ‘Quaderni neri’ e, successivamente, del vostro libro?

– La stampa italiana, al pari di quella tedesca, ha scelto, nella maggioranza dei casi, di allinearsi alla via più ovvia e politicamente corretta, delle strumentalizzazioni ideologiche. Tale scelta è stata determinata dalla necessità di far presa sulle masse e accreditare sempre più, presso il grande pubblico, le tesi preconcette dei sostenitori di queste strumentalizzazioni. Del nostro libro si è comunque parlato, nonostante il voluto silenzio dei giornali schierati a sinistra e al servizio del potere culturale ed economico dominante. Così, della nostra pubblicazione, hanno egregiamente taciuto, in primis il «Corriere della Sera», a seguire «la Repubblica», «La Stampa» e, non ultimo, «Il Sole 24 ore».

• Se così stanno le cose, può spiegarci le ragioni del titolo del Convegno “Ritorno alle fonti di Martin Heidegger”. Non sarebbe stato più opportuno tenere un Convegno dedicato ai ‘Quaderni neri’ e alle problematiche a essi connessi?

– Il prof. von Hermman ha voluto fortemente che si ritornasse a discutere scientificamente delle fonti di Martin Heidegger. In tale scelta è da individuarsi lo spirito, il file rouge, che ha animato il Convegno del 25 gennaio scorso. Solo tornando a studiare le fonti di Martin Heidegger si può acquisire la necessaria competenza esegetica per accostarsi ai contenuti dei ‘Taccuini’. Chi invece intende continuare a rimanere, per scelta, insabbiato in letture ideologiche e politiche di questi testi, non si cura di acquisire le giuste chiavi interpretative del lessico heideggeriano. I ‘Quaderni neri’, nell’economia generale delle opere di Heidegger non hanno lo stesso peso dei trattati. Vorrei sottolineare che mettere in atto ‘il ritorno alle fonti di Martin Heidegger’ è un lavoro faticoso, fondato su indagini accurate, da specialisti. Al contrario, Convegni dedicati esclusivamente ai ‘Taccuini’ avrebbero potuto generare facili seduzioni in tanti improvvisati ‘cursori’ del filosofo tedesco che, per un momento, avrebbero potuto illudersi di capire Heidegger attraverso letture decisamente superficiali.

• Quale pericolo si nasconde allora nella filosofia di Martin Heidegger, viste le continue polemiche che la sua opera ha prodotto negli ultimi decenni? Il caso Heidegger ha nell’antisemitismo la sua vera ragione?

– A mio avviso la vera ragione che, in diverse epoche storiche, ha fatto esplodere il caso Heidegger e che continua a riproporlo con le stesse modalità, non è l’antisemitismo. Già in vita il filosofo subì una serie di incomprensioni e fu giudicato pregiudizialmente, soprattutto nell’ambito accademico. È proprio il mondo accademico che può essere, a mio giudizio, il nodo cruciale che lega tra loro le polemiche giunte fino ai nostri giorni. Dico di più. Da sempre i detrattori del pensatore si sono impegnati nel cercare un cavillo che potesse distruggere il grandioso edificio del pensiero che egli stava costruendo.

Emmanuel Faye
• Non solo in vita, dunque, ma anche dopo la sua morte. A partire da Farias e Faye in Francia, per giungere alle polemiche del 2014, dovute al curatore tedesco dei ‘Taccuini’. Nulla di nuovo sotto il sole. Ciò che è accaduto ultimamente assomiglia ad una sorta di gara che ha avuto per protagonisti i critici di Heidegger, nella quale il vincitore mira a dire pubblicamente: «Ho la prova che vi è qualcosa nel costrutto del pensiero heideggeriano che rimanda a Hitler, al nazismo, all’antisemitismo ecc.». Il vero motivo che ci può aiutare a capire cosa faccia esplodere periodicamente ‘il caso Heidegger’, va ricercato, quindi, nell’ambiente accademico. Heidegger, infatti, ci induce a discutere e a riscoprire il senso profondo della filosofia. Un problema attualissimo oggi, visto il dominio degli analitici, della scienza e della tecnica. Basta, del resto, osservare a quale stato di degrado sia stato ridotto il sistema universitario, per accorgersi che il pensiero di Heidegger, e dunque la sua idea di Università, potrebbero avere un impatto di grande rilievo nell’indicare i cambiamenti essenziali da perseguire in questo ambito al fine di ridare dignità al sapere. Il problema dell’antisemitismo è solo la punta di un iceberg, il problema più grande sono il senso della filosofia, la rifondazione dell’università, oggi più che mai urgente. Ecco perché Heidegger è scomodo.

•Conclusivamente, quale l’eredità più significativa del pensiero di Heidegger?

– La domanda: Che ne è dell’essere?

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