15 marzo 2017

Cap. 1°. - Evola e Schmitt: due vinti davanti alla disfatta dell’Europa. - Note al testo.

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Il Saggio che qui ora appare costituisce la mia relazione al Convegno svoltosi all’Universale il 17 dicembre 2016. Il testo è stato consegnato per gli Atti che usciranno prevedibilmente in settembre 2017 come fascicolo della rivista Studi evoliani. Rispetto al testo consegnato per la stampa tipografica, qui si dà avvio ad uno sviluppo autonomo, in progress, delle linee di ricerca che si sono aperte durante la messa in forma di una scrittura tradizionale, strutturata sulla stampa tipografica. Si tenta qui una forma di scrittura diversa, pensata interamente per la rete e con gli strumenti che la rete offre e le nostre competenze consentono. Ci si preoccupa di consentirne in ogni momento la leggibilità, ma il testo ed insieme con esso il pensiero che la scrittura deve esprimere è in costante evoluzione e progettazione, auspicabilmente in un dialogo con chi per avventura qui legge e che da noi è considerato non passivo Lettore di un testo tipografato, ma insieme con noi Autore di un comune percorso di pensiero, sempre in divenire.


Antonio Caracciolo
 

NOTE AL CAP. 1


Gianfranco de Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra. !943-1945, 2016, Mursia, p. 69 e ss.
  Ne parla R. Mehring, Carl Schmitt. Aufstieg und Fall. Eine Biographie, 2009, Beck, p. 414. Cosi interpreto e traduco: «Sie können sich gerade noch durch die Fenster der Waschküche retten».
  Così ne parla Schmitt: «Ho abitato con lui nella stessa casa, dunque nel ’44,  e avevamo conversazioni notturne anche durante i bombardamenti aerei. Bevendo il suo buon vino renano, parlavamo di tutto quello che in tali situazioni si poteva pensare», in Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh: Carl Schmitt, Imperium,  trad. it. di Corrado Badocco, Macerata, Quodlibet, 2015
  Una storia diversa degli esiti della seconda guerra mondiale, ma anche delle sue cause è quella di Jürgen Thorwald, La grande fuga. Il massacro dei tedeschi orientali, in una nuova edizione italiana, Oaks Editrice, Milano-Udine, 2006, ma con la stessa traduzione dell’irredentista ticinese Aurelio Garrobbio, uscita presso Sansoni nel 1964. Nella Prefazione alla nuova edizione Francesco Coppelloti coniuga l’opera di Thorwald con l’interpretazione transpolitica della

storia di Ernst Nolte che parla di un unico periodo 1917-1945, caratterizzato in Europa dalla opposizione al bolscevismo. Non cita Thorwald, ma polemizza  (p. 1000) con Nolte, Tony Judt, Dopoguerra. Come è cambiata l’Europa dal 1945 ad oggi, Milano, Mondadori, 2007,  che delinea la costruzione di una nuova identità europea tutta incentrata sulla memoria di Auschwitz.
  Colpa ed espiazione – Schuld und Sühne – era l’altro titolo che Thorwald, pseudonimo di Heinz Bongartz (1915-2006), avrebbe potuto dare al suo libro, rispondendo alle accuse di parte ebraica di «voler occultare le sofferenze degli ebrei, descrivendo quelle dei tedeschi» (Coppellotti, op. ult. cit.,  9 nt 1).
  Ancora Thorwald, op. cit., 74, ritorna sul tema nel primo volume della sua opera, uscita nel 1949: «Assai peggiori delle colpe commesse saranno le colpe pretese. Vedo colore che... già spiano l’ora per poter dire al resto del mondo: vedete i Tedeschi, udite quel che hanno fatto e pensate quanto è giusto se oggi noi li calpestiamo». Neppure a Carl Schmitt era sfuggito l’uso politico strumentale della colpa. Appena sfuggito alle insidie degli interrogatori di Norimberga e della immotivata prigionia del dopoguerra, scriveva in una nota del Glossario in data 16 novembre 1947: «Vivere della colpa altrui è il modo più basso di vivere a spese degli altri. Vivere di ammende e tangenti è il modo più ignobile di fare bottino. Ma essi hanno vissuto sempre così…». Il Glossario doveva uscire inizialmente presso Adelphi, ma poi nel 2001 è ritornato all’editore Giuffrè (in Civiltà del diritto, qui p. 61). Su queste peripezie editoriali ebbi una conversazione con Franco Volpi. A me avrebbe fatto piacere tradurlo, o prefarlo, ma ero trattenuto dalle difficoltà intrinseche di cui mi aveva avvertito Günter Maschke. Ne è uscita nel frattempo una seconda edizione tedesca, corrretta e ampliata.
  Il reato di “negazionismo” è un'altra perla prodotta dal Tribunale di Norimberga che nella sola Germania dal 1994 ad oggi ha prodotto una infinità di procedimenti penali per meri reati di opinione. Al riguardo si era prontamente espresso Ernst NOLTE, Auschwitz e la liberta di pensiero, in Behemoth, n. 16, anno IX, luglio-dicembre 1994, pp. 11-20.  Anche in Italia è stata di recente introdotta una legislazione penale analoga su forte pressione e continua richiesta da parte della comunità ebraica che in Italia conta circa 30 mila persone. La situazione è particolarmente dura e pesante in Francia e in Germania. In Italia siamo ancora agli inizi e non è ancora chiaro quali saranno le reazioni appena ci si renderà conto che il nuovo reato incide sulla libertà di pensiero riconosciuta dall’art. 21 della costituzione.


  In Imperium, più sotto cit., 115 s., Schmitt narra gli ostacoli, già nel 1971,  alla libera fruibilità di quello che insieme al Nomos della Terra e alla Dottrina della costituzione considera una dei suoi tre libri più importanti: quello su Hobbes, scritto nel 1938. Vi si parla di Hobbes in quanto pensatore “ebreo”, che per primo operò la scissione fra religione e politica. Per i romani vi era unità fra queste due cose ed ancora in Hobbes questa unità era mantenuta. Il pensiero liberale “ebraico” rafforzerà sempre più questa scissione. Le vicende connesse alla edizione Masche, nel 1982, Der Leviathan, offrono puntuale conferma ai timori di Schmitt, espressi dieci anni prima.
  Schmitt si trovava alla stazione di Monaco di Baviera ed era in partenza per Roma, quando il 31 marzo 1933 ricevette un telegramma da Johannes Popitz, che gli chiedeva di recarsi a Berlino. Fu quello idealmente e praticamente l’inizio della sua “partecipazione al potere” del Terzo Reich. Termina nel dicembre 1936 / gennaio 1937 quando fu attaccato pesantemente dalle SS. Fu destituito da tutte le cariche pubbliche che aveva avuto dal 1933, conservando solo la cattedra e la carica di Consigliere di Stato in Prussia, che era a vita e che fu dovuta a Göring, il quale non intendeva revocarla, per ragioni di suo prestigio personale e per equilibri di poteri interni al nazionalsocialismo; cfr. Imperium, cit., 140, 253-54 nt. 24, 25 che contengono estratti dai Diari.
  Una biografia di Carl Schmitt tradotta in lingua italiana è uscita nel 1983: Joseph W. BENDERSKY, Carl Schmitt teorico del Reich, Bologna, il Mulino. Altre, in lingua tedesca, ne sono uscite e continuano ad uscirne, basate sul materiale documentario che via via si aggiunge. In particolare, qui si segnala per il suo valore autobiografico lo sbobinamento di un’ampia intervista radiofonica del 1971,  Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh: Carl Schmitt, Imperium,  trad. it. di Corrado Badocco, Macerata, Quodlibet, 2015. Delle mie visite a Carl Schmitt ho parlato in una memoria che apparve sul Menabò letterario, diretto da Gennaro Malgeri. Di quella visita fu scattata una foto che purtroppo non mi fu consegnata dall’amico che nell’estate del 1980 mi accompagnò in auto a Plettenberg, Pasel.
  Questa diffusa interpretazione storiografica, accreditata dallo stesso Hitler che aveva da guadagnarci, ha la sua espressione più pronunciata nell’opera del russo Samsonovic Erusalimskij Arcadij, tradotta in italiano ed uscita presso gli Editori Riuniti. Si tratta di una visione ideologica che verrà superata da una storiografia più matura e meno “organica” al potere dei vincitori, ma già Schmitt aveva consapevolezza, nel 1928, di quanto fosse stata “straordinaria e stupefacente” l’unificazione politica della Germania, resa possibile dalla

genialità di Bismarck che mai avrebbe messo a rischio una “riuscita” tanto laboriosa; cfr. Carl Schmitt,  La Società delle Nazioni e l’Europa (1928), in Posizioni e concetti in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles, a cura di Antonio Caracciolo, Milano, Giuffrè, 2007, p. 153.
  Uscito nel 2000 in tedesco presso Duncker & Humblot e tradotto in italiano presso laterza da Furio Ferraresi nel 2006. Molte delle date e delle ricostruzioni sono qui riprese da Quaritsch, da cui per non appesantire l’apparato non si cita oltre. Questo libro si integra idealmente con l’Imperium, già citato, che in forma di ampia intervista autobiografica, ma ricca di annotazioni redazionali, tratta il periodo della vita di Schmitt che va dai primi anni fino alla seconda guerra mondiale, durante la quale Schmitt rischiò di condividere la sorte del suo grande amico Johannes Popitz, che fu in pratica la persona che lo coinvolse nelle cariche di potere durante il nazismo.  Il libro curato da Quaritsch ricostruisce accuratamente i tentativi di fare di Schmitt un capro espiatorio della colpa dei tedeschi, ancora prima che si affermasse la vasta letteratura e memorialistica dell’Olocausto.
  A cura del Centro Orsi, Centro Studi e Documentazione della Repubblica Sociale Italiana, esce sul web (link: http://www.centrorsi.it/notizie/Informazioni-e-curiosita-editoriali-librarie/-Adelfi-il-nuovo-volume-di-Mastrolilli.html) in data 25 ottobre 2007 una anticipazione del romanzo di P. Mastrolilli, dove in premessa la Redazione del Centrorsi scrive che «I due protagonisti sono realmente esistititi, la storia è ricavata da documenti d’archivio e lettere private». Il documento pare esista nell’Archivo della famiglia Mastrolilli, cfr. De Turris, op. cit., 68.  È  però da chiedersi come ed a quale titolo detti elenchi si trovino in un archivio privato.
  G. De Turris, op. cit., 68.

  Ivi.
  La sola accezione fu la carica di Consigliere di stato prussiano, che era a vita, e che Schmitt doveva a Göring, in occasione del 45° anniversario l’11 luglio 1933; cfr. A. Koenen, Der Fall Carl Schmitt, Darmstadt, 1995, p. 356. Fu una carica che probabilmente gli salvò la vita e lo mise al riparo da ulteriori attacchi dopo il 1936; cfr.  Joseph W. Bendersky, op. cit., 283; H. Quartitsch, op. cit., 142.
  Nel 1931 in un saggio sul nazionalismo Evola si mostra lontano sia dal bolscevismo sia dall’americanismo, ma si distacca almeno in qualche misura dal nazionalismo völkisch di Paul De Lagarde (1827-1891), per arrivare ad una “ricostruzione della tradizione aristocratica”, a “forme superiori”, a una “vera superiorità spirituale” che apre le porte verso “una nuova cultura universale”, che «non vuol dire “internazionalismo”» e infine porta a a una «futura coscienza europea»: cfr. Due facce del nazionalismo, in J. Evola, Nazionalismo, germanesimo, nazismo, antologia a cura di Renato del Ponte,  Genova, 1989, p. 38 ss. La mancanza dell’elemento völkisch nell’opera di Schmitt sarà quanto verrà rimproverato a Schmitt dall’Ufficio di Rosemberg nel gennaio del 1937: «Con univoca chiarezza  questa posizione risulta romano-

bizantina e manifesta una concezione del diritto assolutamente opposta ad ogni concezione in qualsiasi modo legata a un ordine di valori basata sul popolo e sulla razza»; cfr. Il docente di diritto pubblico prof. dr. Carl Schmitt. Documento riservato proveniente dall’Ufficio di Rosemberg, in Behemoth, nr. 5, 1989, p.30. Per Evola, dal canto suo e con le sue peculiari concezioni, non apprezzate – come sappiamo – dalle SS,  il piano puramente “etnico”, è «un piano inferiore»; cfr. Nazionalismo, cit. , p. 46. L’elemento meramente völkisch è respinto da Evola, che – citando Mussolini – lo ritiene, demagogico se scisso dal concetto di Stato; cfr. J. Evola, Vedute sull’ordine futuro delle nazioni (1941), in Nazionalismo, germanesimo, nazismo, cit., p. 95.
  Cfr. il fascicolo su Carl Schmitt del Sicherheitsdienst des RFSS SD – Hauptamt, conservato dall’Institut für Zeitgeschichte, con numero: Fa 503 (1) (2) SD-HA C. Schmitt e da noi pubblicato per intero in formato immagine nei Carl Schmitt Studien: http://carl-schmitt-studien.blogspot.it/2015/05/sicherheitsdienst-des-rfss-sd-hauptamt.html

  Troppo spesso con San Casciano si associa l’immagine del luogo di esilio di Machiavelli, ma San Casciano fu anche un martire cristiano condannato a morire trafitto dagli stili degli allievi che aveva convertito al cristianesimo ed era anche il patrono degli stenografi, la cui arte Schmitt apprese dal padre quando era ancora fanciullo.
  In Imperium, cit., passim.

  Cfr. de Turris, op. cit., 87 e passim. Per non appesantire il testo, non annoto altre informazioni che seguono sulla vita di Evola attinte dalla stessa fonte.
  Sono andate purtroppo perse nell’archivio di Evola le lettere di Schmitt e la corrispondenza epistolare ha una sola voce. Si veda: Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt, cit.
  Cfr. Ernst Jünger/Carl Schmitt,  Briefwechsel, 1930-1983, Stuttgart, Klett-Cotta, 1999, p. 72: «Dieser Tage war ein merkwürdiger Italiener hier, der Baron von Evola, der sehr viel weiss und im Gespräch erwähnte, dass er den Beginn dessen, was man Moderne nennt, mit dem Prozess Philipps des Schönen gegen die Templer datiert. Hierbei erwähnte er allerdings, dass besonders di “LegistenÀ des französischen Königs und deren neue Art von Rechtswissenschaft in das Gesamtbild gehören».

  Günther Krauss, I miei ricordi di Carl Schmitt. Parte 2: 1931-1932, in Behemoth, n. 5,  1989, p. 28.
  Ce ne siamo occupati e non ritorniamo adesso in un’analisi di quelle lettere che ci porterebbe lontano dal tema qui delimitato. Si veda: Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt (1951-1963), a cura di Antonio Caracciolo, Fondazione Julius Evola, Roma 2000.

  Con il titolo La Società delle Nazioni e l’Europa, pubblica nella rivista Hochland nel gennaio 1928 il testo della conferenza tenuta il 29 ottobre 1927 in Bonn, e poi raccolta in Carl Schmitt, Posizioni e concetti in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles 1923-1939, a cura di Antonio Caracciolo, Miliano, Giuffrè, 2007,  p. 153-154. Nel testo della raccolta non si trova nessuna citazione di Kalergi, il cui libro-manifesto Paneuropa usciva a Vienna nel 1923,  con un primo congresso che si teneva sempre a Vienna nel 1926.
  È una controstoria ai due volumi di H. A. Winkler, Grande storia della Germania. Un lungo cammino verso Occidente, Roma, Donzelli Editore, 2004, dove l’autore polemizza a più riprese con l’«esperto di diritto pubblico» (II vol. p. 45) in una narrativa storica della Germania in cui le

idee e le istituzioni di Inghilterra, Francia, Stati Uniti, intesi come Occidente, sono considerate «norme di riferimento» (vol. I, p. VIII).
  Nel 1932 (16-20 novembre) sul tema “Europa” si tenne a Roma, organizzato dall’Accademia d’Italia, il Secondo Convegno Volta, del quale Evola fece una cronaca: Il problema “europeo” al Convegno “Volta”, in Nazionalismo, Germanesismo, Nazismo, cit., pp. 53-61. Come oggi risulta in rete dagli Archivi dell’Accademia dei Lincei, il convegno all’estero non ebbe grande risonanza e fu irriso oltre che sospettato di un disegno egemonico fascista.

  Questa intervista radiofonica è stata da me citata come rivelatrice e significative della difficile e sofferta posizione di Carl Schmitt nella mia Presentazione a Carl Schmitt, Il custode della costituzione, Miliano, Giuffrè, 1981. La si trova poi integralmente tradotto in Carl Schmitt, Un giurista davanti a se stesso. Saggi e interviste, a cura di Giorgio Agamben, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2005, pp. 33-39: Colloquio radiofonico del 1° febbraio 1933. Interessante nel testo l'osservazione sulla differita: la registrazione dell'Intervista fu precedente la notizia dell'incarico a Hitler.
  Julius Evola, Il fascismo. Saggio di una analisi critica dal punto di vista della Destra, Roma, Volpe, 1964.
  Julius Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell‘Ascia, 1953
  La notizia, sconvolgente, di un incontro fra Carl Schmitt e Mussolini, è stata da me appresa dalla copia dattiloscritta di una lettera di Schmitt a Jean Pierre Faye del 5 settembre 1960. La copia era giunta a me certamente da Günter Maschke, ma adesso non la ritrovo fra le mie carte. Ne feci però una traduzione che apparve come nota 75 di p. 55 di un mio saggio Felice Battaglia e la recezione idealista di Carl Schmitt, che apparve in Behemoth, n. 8, luglio-dicembre 1990, pp. 47-62. Per l’importanza di questo testo, inedito, ricordo una studiosa tedesca che mi telefono per avere una copia della rivista. Data l’importanza nel nostro contesto, ne riproduco direttamente nel corpo del testo il brano di lettere allora tradotto in italiano.

  Julius Evola, Vedute sull’ordine futuro delle nazioni, apparso su La Vita Italiana, XXIX, n. 342, settembre 1941, in Nazionalismo, germanesimo, nazismo, cit., 95.
  Il Manifesto per un’Europa federale fu redatto fra il 1941 e il 1944 nell’isola di Ventotene, dove i loro autori si trovavano al confino. Del 1922 era il progetto Kalergi di Unione Pan-europea su base tecnocratica; cfr. Richard Coudenhove-Kalergi, Ausgewählte Scriften zi Europa, herausgegeben von der Coudenhove-Kalergi-Stiftung, NWV, Wien-Graz, 2006. Diversi erano i presupposti ed interessante chiedersi quale dei due progetti abbia avuto maggiore realizzazione.


  Elementi dell’idea europea (1940), in J. Evola, Nazionalismo, Germanesimo, Nazismo, cit., p. 77-78. Sempre sulla rivista Lo Stato di Carlo Costamagna appare nel fascicolo del gennaio 1941 un articolo di Evola su Per un vero “diritto europeo”, ripubblicato in J. Evola, Nazionalismo, etc., cit., 83-89. Evola, che è ottimisticamente fiducioso “nella vittoria delle potenze dell’Asse” (p. 83), recensisce l’articolo di Schmitt Die Auflösung der europäischen Ordnung im “International Law”, apparso l’anno prima nella rivista tedesca Deutsche Rechtswissenschaft. Schmitt  «è ben noto ai lettori della nostra rivista» (p. 83), cioè Lo Stato. Di lui «è conosciuta l’idea, coincidente senz’altro con la nostra, che...» (ivi).
  Lo cito nella mia traduzione in Behemoth, n. 2, aprile-giugno 1987, pp. 47-57.

  Che è del 1963 nell’edizione Duncker & Humblot, tradotta in italiano nel 1972, nell’edizione a cura di G. Miglio, Carl Schmitt, Il concetto del politico, Bologna, il Mulino, 1972. Con questa edizione riesce a Miglio di realizzare un’edizione antologica che si era trascinata inutilmente nel carteggio fra Evola e Schmitt negli anni cinquanta del secolo scorso.
  Parlarono di Filippo il Bello, al quale si deve la persecuzione del Templari; cfr. l’articolo di Evola, Il caso di Filippo il Bello, in Artos, V, 11, gennaio-aprile 1976, p. 9-11; e di nuovo ricompreso nella raccolta di tutti gli articoli di Evola, usciti in La Vita Italiana, editi in due volumi dalle Edizioni Ar: I tomo 1931-1938; II tomo 1939-1943. Sono in tutto 135 articoli e quello qui citato si trova nel secondo volume, al n. 106.
  Julius Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell’Ascia, 1953, p. 157.

  Ulrik Varange, pseudonimo dell’americano Francis Parker Yockey (1917-1960), autore di Imperium, citato da Evola, in Sui presupposti spirituali e struttali dell’unità europea, cit., era nel 1946 impiegato presso il Tribunale alleato, ed ebbe osservazioni sulla liceità dei procedimenti a carico dei cosiddetti “criminali di guerra” e fu per questo costretto a dimettersi. Arrestato, morì misteriosamente in cella. Devo questa importante informazione a Renato del Ponte, curatore dell’edizione antologica Nazionalismo, germanesimo, nazismo, cit., p. 114.
  In Carl Schmitt, La tirannia dei valori, con Presentazione di Giano Accame, Roma, Pellicani, s.d., p. 76, il nemico è rappresemtat come un “non valore”, ed si trova così in una condizione peggiore a quella del criminale che pur tuttavia un qualche diritto a lui riconosciuto dal diritto penale.
  L’espressione, rimasta celebre, è di Vittorio Emanuele Orlando nella seduta del 30 luglio 1947 e si riferisce alla fretta con cui il governo De Gasperi si affrettò a ratificare il trattato di pace. Da allora il “servilismo” è stato una costante della politica estera italiana fino all’onta della guerra alla Libia, dopo che era stato concluso un trattato di amicizia con il popolo libico.
  Secondo un’osservazione maliziosa, non ricordo da chi fatta, ma che si trova in rete, Schmitt avrebbe selezionato i saggi della raccolta del 1939 in modo da non urtare il governo allora in carica, cioè il nazismo, trascurando determinati saggi del periodo weimariano, mentre avrebbe fatto analoga selezione mirata nella raccolta di Saggi di diritto costituzione del 1954, trascurando determinati saggi scritti durante il periodo nazista. Può essere, ma la prudenza non è ancora una colpa, e non è certo sotto quale regime vi sia maggiore libertà: non possum scribere in eum qui potest proscribere, scrive Carl Schmitt citando Macrobio, in Ex captivitate salus,  Milano, Adelphi, 1987, p. 23, un testo che Schmitt scrisse in condizioni proibitive.


  Nel suo ultimo libro, appena uscito, Marcello Veneziani, Alla luce del mito. Guardare il mondo con altri occhi, Venezia, Marsilio, 2017,  p. 93, osserva come in Evola «il mito assuma una connotazione prevalntenente negativa se non spregiativa», riuscendo a riaffiorare in Tolkien solo nella forma di fiaba. In Schmitt, il potere - descritto nel Colloquio del 1954 -  assume una forma mitica, dove potere e detentore del potere sono momenti dialetticamente diversi, impersonale l’uno, personale l’altro. Dice Schmitt: «Il potere è una grandezza oggettiva, con proprie leggi nei confronti di ogni individuo umano, che di volta in volta ha il potere nelle sue


mani» (op. cit.,  p. 50), e conclude con un verso: «L’esser uomo è pur sempre una decisione» (p. 57). È questa la sua “ultima parola” sulla problematica del potere.
  Sul disprezzo assoluto dell’uomo da parte di Donoso Cortés cfr. Carl Schmitt, Donoso Cortes, Milano, Adelphi, 1996, p. 31-32. Sull’importanza di Donoso Cortés rispetto a quello di Hobbes nella formazione del pensiero di Schmitt ha molto insistito Günter Maschke; cfr. G. Maschke, L’ambiguità della decisione. Thomas Hobbes e Juan Donoso Cortés nell’opera di Carl Schmitt, in Behemoth, n. 4, gennaio-giugno 1988, pp. 3-6;  n.  6, luglio-dicembre 1989, pp. 19-32.
  Cfr. al riguardo M. Musto, L’ultimo Marx. 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale, Roma, Donzelli Editore, 2016.

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