17 marzo 2006

Carl Schmitt in America

(da "Meditazioni filosofiche" di domenica, febbraio 05, 2006)

(In corso di elaborazione: in tempo reale!) Visto da Roma è davvero curiosa l'utilizzazione che del pensiero di Carl Schmitt viene fatta in America: una strumentalizzazione ed una falsificazione che dura da tempo e che ora approda in Italia ad opera di un’Associazione, che si presenta come una filiale italiana della fondazione Larouche. Come molti italiani alla vigilia del fascismo e molti tedeschi vissuti ai tempi della repubblica di Weimar, anche Carl Schmitt accettò quegli che sarebbe stato un "capo carismatico", pur senza aver mai suscitato in Schmitt una particolare ammirazione o seduzione. A torto o a ragione il dittatore italiano e il dittatore tedesco nella loro epoca parvero in grado di risolvere problemi importanti per la vita della gente. I detrattori di Schmitt ignorano un passo del 1936 dove Schmitt parla di Hitler definendolo un “uomo di pace”. Poco importa che ciò non corrisponda all’immagine che oggi ne abbiamo. Interessa qui che questa fosse la visione che Schmitt ne aveva nel 1936.

Oggi, in piena campagna elettorale, viviamo in Italia un simile momento sfiducia verso tutti i politicanti e politicastri che ogni sera la televisione ci ammannisce fra comici e ballerine. Credo di ben interpretare gli umori inconfessati dei miei concittadini dicendo che se in questo momento potessimo liberarci di un colpo solo di un intero ceto politico ladro, corrotto, imbroglione, famelico ed inutile, lo faremmo molto volentieri e sarebbe una vera liberazione del corpo, dell'anima e della mente. Il sistema è però bloccato e questa minestra ce la dobbiamo ingoiare, ci piaccia o non ci piaccia. Meritano di essere sviluppate le analogie fra l'attuale sistema bloccato nelle nostre splendide democrazie da esportare nel resto del mondo e la situazione di analogo blocco nei primi decenni del XX secolo, poi sfociata negli infausti regimi, cui può essere imputato il metodo ed il risultato, ma non il tentativo di aver dato risposta ad un diffuso disagio. Nessun regime nasce perfetto ed immutabile, ma si adegua continuamente alle concrete esigenze.

Il curioso di cui si parla consiste nel fatto che Schmitt denunciò l’imperialismo americano ancor prima che il nazismo in Germania avesse una qualche visibilità ed il minimo peso politico. Posto che dire nazismo è come dire il diavolo, Schmitt non fu nazista fino al 30 gennaio 1934 e cessò di esserlo formalmente nel gennaio del 1937, per effetto della scomunica pronunciata dall’Ufficio di Rosemberg preposto all’ortodossia ideologica e soprattutto per gli attacchi cui Schmitt fu oggetto dalle colonne della rivista delle SS, “ Das Schwarz Corps”, nel dicembre del 1936. Con ciò non intendo assolvere Schmitt dall’accusa di essere stato nazista. La mia tesi è che nelle condizioni date ciò era perfettamente plausibile ed in sé non incriminabile. Anzi, nelle circostanze date in cui la scienza giuridica positivistica, formatasi sull’assetto giuridico prodotto dal trattato di Versailles, si dimostrava conformista e collaborazionista, Schmitt può essere perfino considerato un pensatore partigiano e patriota, stando tutto dalla parte del popolo tedesco e dell’Europa, sulla quale malgrado l’ipocrisia wilsoniana l’America aveva finalmente messo le mani ed afferrato la presa che non mollerà mai più.

Carl Schmitt è e rimane un pensatore intimamente tedesco ed europeo. Non può essere riciclato in terra d’America facendone un consigliere del neonazista Bush. Schmitt non è von Braun, inventore delle V2, che viene sottratto al processo di Norimberga per condurre gli americani sulla luna. Il suo pensiero tolto dal contesto europeo diventa una caricatura. Un ulteriore aspetto curioso del fenomeno è che le attuali tendenze della politica presidenziale sono considerate come una degenerazione nazista, mentre le tendenze imperialistiche esistevano in America ancor prima che il nazismo esistesse. La guerra “cubano-ispano-americana” è del 1898 e la dottrina Monroe è la dottrina imperiale della neonata repubblica dei Coloni d’America. Questa visione storica era chiara a Schmitt quando egli si poneva come “organo” pensante del suo popolo. In modo del tutto indipendente e senza mai citare Schmitt la stessa visione storica ricorre nei libri di Chalmers Johnson. La cecità interessata sembra però che sia una costante della politica culturale americana e delle sue fondazioni: interessa la propaganda martellante che condizioni i più. La verità visibile a pochi non produce effetti politici e non molesta.

Nessun commento:

Posta un commento