22 marzo 2006

La Dittatura: una nuova edizione italiana

E' in libreria la nuova edizione della Dittatura di Carl Schmitt, da me curata in una nuova collana che ha aper titolo "Idola et arcana" e vedrà altri testi di e su Carl Schmitt. Si può ordinare il libro (costo euro 35) all'indirizzo: info@libreriaeuropa.it
Riporto qui la presentazione del testo e di seguito una documentazione iconografica ad illustrazione del testo schimittiana. Di ogni immagine è indicata la fonte da cui è tratta ed il relativo contesto. Seguono eventuali mie didascalie. Se sorgeranno problemi di copyright, ma non credo, sarà da me prontamente rimossa da questo blog l'immagine su semplice richiesta dell'avente diritto.



PRESENTAZIONE

Componendo nel 1921 un libro sul tema della Dittatura Carl Schmitt dava maturo avvio ad una riflessione che avrebbe caratterizzato un suo originale sistema di pensiero che si sarebbe sviluppato in altri momenti decisivi della sua produzione dando vita ad un’architettura complessa che si estende su un arco temporale di oltre mezzo secolo: la teoria della sovranità contenuta nella Teologia politica (1922), Il Concetto del Politico (1927), la Dottrina della Costituzione (1928), la sua analisi della democrazia weimariana appassionatamente esposta nel Custode della costituzione (1931). Gli anni dell’adesione militante al nazismo (1933-1936) non offrono testi significativi, se si eccettua il libro su Hobbes, che è però del 1938, quando Schmitt si trova già in una posizione di emarginazione all’interno del regime. Le opere del secondo dopoguerra, di cui la maggiore è il Nomos della Terra, che è del 1950, non escono nel segno della discontinuità o della cesura con un pensiero che Schmitt ha articolato in tutto il corso della sua lunga esistenza (1888-1985) e che cercava nei fatti la verifica quotidiana. Il XX secolo è rispecchiato da Schmitt sia sul piano esistenziale con la sua vicenda umana sia con la sua opera che è ancora oggi si impone alla nostra attenzione. Nel corso della storia costituzionale dell’Occidente europeo la possibilità della dittatura si ripresenta ogni volta che appare estremo un pericolo che minaccia tutti. La disciplina della dittatura del Presidente del Reich era prevista anche nella costituzione di Weimar ed aveva avuto precedenti nella storia europea dell’Ottocento, che Schmitt indagò fin dal 1915 in saggi preparatori del libro del 1921.
Il termine dittatura ha cattiva stampa e getta cattiva luce sull’autore che ha pensato di dedicarvi un libro. Superficiali detrattori ignorano il contenuto storico e tecnico dell’argomento affrontato e si immaginano un libello di propaganda politica, preparatorio di un nazismo di cui non vi era traccia al momento in cui il libro veniva scritto o concepito. Non essendo possibile in questa sede cartacea la discussione aggiornata di tutta letteratura antischmittiana, di valore ineguale e con uscite quotidiane in lingua inglese, francese, tedesca, spagnola e italiana si rinvia al blog http://carl-schmitt-studien.blogspot.com/, dove essa è monitorata e vagliata, accogliendo volentieri le nuove sfide della comunicazione. Il carattere di gran parte di questa letteratura è dato da un’acritica e pregiudiziale assimilazione del pensiero schmittiano al nazismo, tacendo per un verso sull’estensione cronologica degli scritti di Schmitt dal 1910 al 1981 in cui gli scritti nazisti sono davvero pochi ed insignificanti e per un altro verso ignorando le fasi ed i termini concreti dell’adesione di Schmitt al fenomeno nazista, che infine dovrebbe poter uscire dall’ambito demonologico per diventare oggetto di trattazione storica.
La Dittatura, uscita in Germania nella prima metà del 1921, precede di un anno l’avvento in Italia del fascismo e segue di alcuni anni l’instaurazione della dittatura del proletariato in Russia. Furono queste le suggestioni che spinsero per conto della Libreria “Avanti” Gustavo Sacerdote a chiedere il 30 settembre 1921 una copia del libro all’editore tedesco, accennando all’eventualità di una traduzione italiana, che fu riferita a Schmitt, generando la leggenda di un incendio del testo già tradotto e in bozze durante l’assalto alla tipografia del quotidiano socialista nel 1922. Nella lettera del 30 settembre si accennava alla mera possibilità di una recensione sul quotidiano l’Avanti o sulla rivista “Comunismo”. Gli archivi della Casa Editrice Duncker & Humblot consentono di porre termine alla suggestiva leggenda e di ricondurre l’episodio alle sue reali dimensioni. L’editore tedesco rispose in data 3 ottobre 1921, annunciando la spedizione di un esemplare in Italia e comunicando lo stesso giorno a Carl Schmitt l’eventualità della traduzione italiana. Gli si consigliava anche di chiedere un onorario di autorizzazione di 1.000 DM. In data 5 agosto 1922 la Duncker & Humblot scriveva nuovamente alla casa editrice “Avanti” chiedendo informazioni sullo stato della faccenda (Angelegenheit) e comunicava al tempo stesso che sarebbero stati chiesti 1.000 DM di autorizzazione. Al che il 16 agosto il prof. Sacerdote rispondeva che una recensione del libro era «già da tempo nella scrivania (Schreibtisch) del recensore competente». Lui si sarebbe adesso dato da fare per accelerare la “faccenda” (Angelegenheit). Dalla lettera non è chiaro se con Angelelegenheit si intende la recensione o il contratto di traduzione. Parrebbe di capire la recensione. Infatti egli scrive che «l’incendio a voi noto dell’Avanti da parte dei fascisti mi fa sorgere il dubbio che il manoscritto non esista più». Il 4 di agosto 1922 era stata devastata in effetti la sede milanese dell’Avanti in un clima di guerra civile che imperversava dall’aprile 1919. Per questo motivo il prof. Sacerdote non era più nella condizione «di poter dare una risposta definitiva circa un’eventuale traduzione». La lettera termina con l’impegno di sbrigare l’una e l’altra questione quanto prima, ma gli archivi della casa editrice tedesca non conservano altro al riguardo, fatta eccezione per un paio di altri invii promozionali del testo. Un esemplare della prima edizione fu spedito al prof. Del Vecchio a Roma ed una copia della seconda edizione fu chiesta nel 1928 dalla “Rassegna” di Macerata. Non ne sortì neppure una recensione per la quale bisognerà aspettare il 1975 sulla scorta della traduzione apparsa presso Laterza. Sappiamo dai Diari di Giaime Pintor come questi nel 1941 intendesse promuovere presso l’editore Einaudi una traduzione della Dittatura, di cui egli stesso aveva già tradotto un terzo del testo.
La leggenda di una traduzione già in bozze ai primi di agosto del 1922, bruciata nell’assalto all’Avanti, è stata alimentata da Carlo Galli nel 1979 che si basava su una lettera, da lui riportata, di Carl Schmitt a Gianfranco Miglio del 3 marzo 1969. Evidentemente deve esservi stata qualche confusione nello stesso Schmitt che a distanza di tanti anni non ha consultato le sue carte o forse non le aveva più, ma i tempi tecnici sopra riportati avrebbero reso di per sé improbabile l’ultimazione di una traduzione giunta già alle bozze ai primi di agosto del 1922. Fu ancora all’insegna della cattiva fama e della mala sorte che in Italia la traduzione si ebbe nel 1975, ad opera di Bruno Liverani, la cui traduzione è ripresa e conservata con poche correzioni. Vi era stata tre anni prima, nel 1972, la pubblicazione antologica delle Categorie del politico uscita presso il Mulino, che aveva dato una nuova svolta alla recezione italiana di Carl Schmitt. L’opera editoriale di Miglio faceva seguito ad un rapporto epistolare decennale di Schmitt con Julius Evola, che si era fatto promotore di una raccolta antologica, mai condotta in porto. La stessa antologia bolognese del 1972 fu resa possibile dal nuovo clima culturale che si era creato in Italia sulla scia dei movimenti del 1968. Vi fu un tentativo di appropriazione della Sinistra dell’opera di Schmitt, ma le ambiguità dell’operazione emersero abbastanza presto. L’inserimento nell’Universale Laterza della Dittatura ha carattere antologico ed episodico, presentando un pensatore reazionario, le cui radici naziste si ricercano già in un’opera del 1921. Sono poi seguite dal 1981 le pubblicazioni di altre importanti opere del pensatore tedesco, tra cui la Dottrina della costituzione (1984) che appariva in Civiltà del diritto dell’Editore Giuffrè, collocando l’opera di Schmitt fra quella dei pensatori classici ed assicurandone la circolazione in ambito accademico.
Della Dittatura si presenta ora una nuova edizione, condotta sulla quarta edizione tedesca del 1978, completa quindi delle parti omesse nell’edizione Laterza del 1975, e corredata da un ampio indice analitico. L’integrazione più importante è l’appendice sulla dittatura del Presidente del Reich aggiunta da Schmitt alla seconda edizione tedesca. A questa Appendice ne è aggiunta dal curatore un’altra riguardante una voce di enciclopedia con titolo “Dittatura” scritta da Schmitt nel 1926 per lo Staatslexikon della Görres-Gesellschaft. Il tema è ancora trattato da Schmitt in altri saggi che non possiamo tutti includere nella nostra edizione. La seconda edizione tedesca della Dittatura usciva nello stesso anno in cui apparve in Germania la “Dottrina della costituzione” (1928), forse la maggiore opera di Schmitt. Per dare il senso di un’interpretazione complessiva dell’autore basti qui accennare al fatto che il concetto di dittatura è un elemento necessario della riflessione che porta Schmitt ad elaborare il concetto di eccezione e a teorizzare la difesa della normalità giuridica e costituzionale ad opera di un custode che all’occorrenza deve poter disporre di poteri dittatoriali e sovrani. La relazione protezione-obbedienza è il fondamento di una dittatura che ha per scopo non l’oppressione dei sudditi, ma la salvezza della res publica.

Antonio Caracciolo

DOCUMENTAZIONE ICONOGRAFICA: L'ordine di successione delle immagini è casuale e dipende dalla fortuna nella ricerca con il motore Google o eventualmente con altri motori. Solo a ricerca conclusa verrà data un'eventuale successione logica e cronologica delle immagini.

1. John Edward Couternay Bodley (1853-1925). Fonte - Contesto: Ballion College University of Oxford

• Sulla sua opera Carl Schmitt così si esprime: «Onde evitare di estrarre a caso una frase tra le tante degli innumerevoli scritti politici esistenti, prenderemo ad esempio la maniera d’esprimersi di Bodley nella sua opera sulla Francia (London 1898). Il nostro termine (dictatorship) ricorre con frequenza ed è anche registrato nell’indice analitico, ma già i rimandi dell’indice sono significativi: dittatura = regime autoritario = cesarismo = bonapartismo e perfino = boulangismo. Gambetta aspirava alla «dittatura», la sua attività politica era un «potenziale cesarismo» (II, 409); Napoleone I era un dittatore militare (I, 259). Il termine viene però applicato anche a un forte esecutivo provvisto di un sistema di governo centralizzato e di un vertice autocratico (I, 80). Infine, qualsiasi risalto dato al ruolo personale di un presidente, a un «governo personale» (personal rule) nel senso più ampio, è sufficiente perché si parli di dittatura (I, 297 sg.). Sarebbe stupida pedanteria giudicare un’opera politica, peraltro ricca di osservazioni acute e pertinenti, da una maniera d’esprimersi e tanto più dall’uso di un vocabolo come «dittatura», cui l’etimologia assegna un’estensione illimitata, se «dittatore» è chiunque in qualche modo «detta». Di fatto però, malgrado la terminologia opportunistica, trapela dovunque una connessione fra dominio personale, democrazia e centralismo, solo che spesso l’accentuazione dell’apparato centralizzato di governo lascia in ombra il momento del dominio personale, perché significa nient’altro che il vertice autocratico del sistema centralizzato, che si produce necessariamente per ragioni tecniche. Si spiega così la singolare serie di dittatori prodotta dal secolo XIX: Napoleone I e Napoleone III, Bismarck, Thiers, Gambetta, Disraeli, perfino Pio IXi».
• Libero accesso al testo digitalizzato dell’opera France. In caso di difficoltà ripetere la ricerca dando come chiave di accesso alla Biblioteca digitale la propria e-mail.

2. Bruno Bauer (1809-1882). FonteContesto

Schmitt cita Bruno Bauer per un uso del concetto di dittatura analogo a quello dell’opera di Blodey. Lo scritto di Bauer a cui Schmitt si riferisce è "Disraelis romantischer und Bismarcks sozialistischer Imperialismus" (1882), apparso proprio nell’anno in cui il filosofo e teologo Bauer moriva.

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17 marzo 2006

Carl Schmitt, un pensatore nazista?

(Da "Meditazioni filosofiche" di giovedì, febbraio 02, 2006)

Carl Schmitt, un pensatore nazista?
AL COMITATO SCIENTIFICO
DEL CONVEGNO SU CARL SCHMITT IN STRASBURGO
- Lettera aperta –
In riferimento a:
http://www.euracademie.org/Euracademie/FR/
Programmation/Actualites/050603_nouvelle.htm

Gentili Signori,

Da molto tempo indugio nella Presentazione alla traduzione italiana di "Positionen und Begriffe", da me terminata da un paio d'anni. Sono scrittore lento e riluttante. Credo però di essere finalmente giunto a delle conclusioni, abbastanza semplici ed in linea con il normale buon senso. Nel mentre del mio lento lavoro mi è giunta notizia che in quel di Strasburgo si è svolto l'ennesimo intervento sull'argomento, che ahimé temo andrà ad alimentare la superficialità delle citazioni di Schmitt che trovo in rete nella stampa anglosassone.

Dalla lettura dei titoli del programma e dal nome degli oratori temo che si tratti di un convegno già orientato in partenza e viziato da pregiudizio politico. Nulla di male. La cosa non mi spaventa. Giudico perfino utile l'iniziativa se riesce ad apportare approfondimenti ad un tema che a me appare sempre più dettato dagli interessi politico-esistenziali di un intero ceto politico cui il potere piovve dall'alto insieme con le bombe che hanno devastato il suolo dell'Europa. Nella stanca ripetizione di una litania di concetti quali liberazione, olocausto, giornate della memoria, stato di diritto, ecc. trovo una marcata autoreferenzialità e autolegittimazione di una classe politica europea che prima non ha saputo preservare l'Europa dalla guerra civile e dopo non si è vergognata di accettare il bastone del comando dagli invasori, detti liberatori, ad Est ed Ovest. Lo stesso metodo lo si vorrebbe applicare oggi all'Iraq ed al Medio Oriente. Ma sembra che gli Arabi siano meno desiderosi di diventare una provincia dell'Impero americano... Mah! Se queste mie note vi turbano, posso assicurarvi di non aver mai avuto nulla a che fare con nazismo e fascismo, fenomeni storici che considero definitivamente trascorsi e che ritengo improponibili.

Sul tema generale del nazismo, dove il pregiudizio strumentale avanza ancora di gran lunga l'analisi storica e filosofica, mi pare non piccola la responsabilità storica della Francia nell'esasperare la Germania del tempo al punto da produrre il fenomeno poi noto ed esecrato come nazismo, generando una catena di eventi che conduce all'odierna nullità politica dell'Europa, Francia compresa. Per il sano buon senso il crollo dell'Europa nel 1945 ha significato l'affermarsi incontrastato del disegno imperiale americano, che ha la sua origine agli inizi del XIX secolo (Schmitt lo ha ben visto) e che proprio con la fine della seconda guerra mondiale si autoproclama erede del decaduto Impero britannico, dapprima in un regime di condominio con l'Impero sovietico ed ora unico padrone del mondo. Se è certamente da esecrare lo sterminio di ebrei ed oppositori da parte dei nazisti, tuttavia americani e sovietici non sono stati da meno nel corso della loro storia passata e recente. Il processo di Norimberga è stato un monumento all'ipocrisia. L'antisemitismo nazista non avrebbe neppure potuto essere concepito se non fosse stato preceduto da duemila anni di antisemitismo cristiano e cattolico. Ma di ciò si tace e si rivendicano perfino le radici cristiane dell'Europa.

Non potendo aspettare la pubblicazione degli atti vi sarei grato di ogni informazione sullo svolgimento del convegno e sul dibattito. Ne terrò conto nell'apparato di note alla mia Presentazione della traduzione italiana di quei testi che probabilmente nelle giornate strasburghesi saranno stati giudicati testi incriminanti. Se fosse possibile avere una registrazione del convegno, pagherei i costi dei supporti magnetici e della spedizione. In particolare, mi sembrano più pertinenti al mio tema le relazioni di Olivier Jounjan e di Zarka. Vi sarei grato se poteste fornirmi in anticipo le loro relazioni ovvero i loro recapiti perché ne faccia io direttamente la richiesta.

A mio giudizio, l'attualità sconvolgente di Carl Schmitt consiste nel riuscire a far leggere la realtà politica con estrema chiarezza. L'opera di molti suoi detrattori è invece volta al nascondimento delle evidenze. Nel pieno rispetto degli organizzatori del convegno, dei loro partecipanti e con riserva di rivedere i miei giudizi dopo che avrò preso integrale conoscenza dei testi, giudico adatto ai tempi un franco confronto di idee sugli argomenti da voi meritoriamente proposti all'attenzione internazionale, utilizzando le potenzialità offerte da Internet.



Antonio Caracciolo
- Traduttore italiano di Carl Schmitt
http://meditazioni-filosofiche.blogspot.com/
posted by Antonio Caracciolo at 12:27

PS del 17.3.06 - Non è mai giunta risposta alcuna.

Carl Schmitt in America

(da "Meditazioni filosofiche" di domenica, febbraio 05, 2006)

(In corso di elaborazione: in tempo reale!) Visto da Roma è davvero curiosa l'utilizzazione che del pensiero di Carl Schmitt viene fatta in America: una strumentalizzazione ed una falsificazione che dura da tempo e che ora approda in Italia ad opera di un’Associazione, che si presenta come una filiale italiana della fondazione Larouche. Come molti italiani alla vigilia del fascismo e molti tedeschi vissuti ai tempi della repubblica di Weimar, anche Carl Schmitt accettò quegli che sarebbe stato un "capo carismatico", pur senza aver mai suscitato in Schmitt una particolare ammirazione o seduzione. A torto o a ragione il dittatore italiano e il dittatore tedesco nella loro epoca parvero in grado di risolvere problemi importanti per la vita della gente. I detrattori di Schmitt ignorano un passo del 1936 dove Schmitt parla di Hitler definendolo un “uomo di pace”. Poco importa che ciò non corrisponda all’immagine che oggi ne abbiamo. Interessa qui che questa fosse la visione che Schmitt ne aveva nel 1936.

Oggi, in piena campagna elettorale, viviamo in Italia un simile momento sfiducia verso tutti i politicanti e politicastri che ogni sera la televisione ci ammannisce fra comici e ballerine. Credo di ben interpretare gli umori inconfessati dei miei concittadini dicendo che se in questo momento potessimo liberarci di un colpo solo di un intero ceto politico ladro, corrotto, imbroglione, famelico ed inutile, lo faremmo molto volentieri e sarebbe una vera liberazione del corpo, dell'anima e della mente. Il sistema è però bloccato e questa minestra ce la dobbiamo ingoiare, ci piaccia o non ci piaccia. Meritano di essere sviluppate le analogie fra l'attuale sistema bloccato nelle nostre splendide democrazie da esportare nel resto del mondo e la situazione di analogo blocco nei primi decenni del XX secolo, poi sfociata negli infausti regimi, cui può essere imputato il metodo ed il risultato, ma non il tentativo di aver dato risposta ad un diffuso disagio. Nessun regime nasce perfetto ed immutabile, ma si adegua continuamente alle concrete esigenze.

Il curioso di cui si parla consiste nel fatto che Schmitt denunciò l’imperialismo americano ancor prima che il nazismo in Germania avesse una qualche visibilità ed il minimo peso politico. Posto che dire nazismo è come dire il diavolo, Schmitt non fu nazista fino al 30 gennaio 1934 e cessò di esserlo formalmente nel gennaio del 1937, per effetto della scomunica pronunciata dall’Ufficio di Rosemberg preposto all’ortodossia ideologica e soprattutto per gli attacchi cui Schmitt fu oggetto dalle colonne della rivista delle SS, “ Das Schwarz Corps”, nel dicembre del 1936. Con ciò non intendo assolvere Schmitt dall’accusa di essere stato nazista. La mia tesi è che nelle condizioni date ciò era perfettamente plausibile ed in sé non incriminabile. Anzi, nelle circostanze date in cui la scienza giuridica positivistica, formatasi sull’assetto giuridico prodotto dal trattato di Versailles, si dimostrava conformista e collaborazionista, Schmitt può essere perfino considerato un pensatore partigiano e patriota, stando tutto dalla parte del popolo tedesco e dell’Europa, sulla quale malgrado l’ipocrisia wilsoniana l’America aveva finalmente messo le mani ed afferrato la presa che non mollerà mai più.

Carl Schmitt è e rimane un pensatore intimamente tedesco ed europeo. Non può essere riciclato in terra d’America facendone un consigliere del neonazista Bush. Schmitt non è von Braun, inventore delle V2, che viene sottratto al processo di Norimberga per condurre gli americani sulla luna. Il suo pensiero tolto dal contesto europeo diventa una caricatura. Un ulteriore aspetto curioso del fenomeno è che le attuali tendenze della politica presidenziale sono considerate come una degenerazione nazista, mentre le tendenze imperialistiche esistevano in America ancor prima che il nazismo esistesse. La guerra “cubano-ispano-americana” è del 1898 e la dottrina Monroe è la dottrina imperiale della neonata repubblica dei Coloni d’America. Questa visione storica era chiara a Schmitt quando egli si poneva come “organo” pensante del suo popolo. In modo del tutto indipendente e senza mai citare Schmitt la stessa visione storica ricorre nei libri di Chalmers Johnson. La cecità interessata sembra però che sia una costante della politica culturale americana e delle sue fondazioni: interessa la propaganda martellante che condizioni i più. La verità visibile a pochi non produce effetti politici e non molesta.